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HUMAN INTELLIGENCE E PROFILING COMPORTAMENTALE

Human Intelligence

HUMAN INTELLIGENCE E PROFILING COMPORTAMENTALE

(Angelo Alabiso*) – Nonostante oggi si viva in un contesto sempre meno prevedibile, costernato da minacce invisibili e dall’assoluta necessità di governare quello che è il concetto stesso di rischio, nel nostro paese si fatica ancora a diffondere una “consapevolezza situazionale” tale per cui è possibile mettere in pratica quell’approccio proattivo che ormai è fondamentale contro il mondo dell’ignoto. Nel momento in cui non esiste un rischio pari zero, dove la tipica domanda da farsi non è se avverrà qualcosa ma quando, bisognerebbe valorizzare ancora di più, in maniera traversale, l’importanza del profiling comportamentale e dell’approccio Humint (Human Intelligence). In altre parole, si necessita di affinare una sensibilità nuova, che non necessariamente debba destare allarme o preoccupazione, ma che sia capace di rilevare degli indicatori all’interno di un ambiente per capirne i possibili sviluppi e, di conseguenza, adattare i propri comportamenti di fronte al presentarci di una minaccia. Quello che è il reale valore della sicurezza è ormai all’interno di ognuno di noi, non può essere semplicemente delegato come se non ci appartenesse; in molte situazioni siamo tenuti a mantenere dei comportamenti consapevoli che sono frutto di un’assunzione di responsabilità nei confronti di noi stessi e gli altri, a prescindere dal fatto che le istituzioni abbiano il ruolo centrale e formale di proteggerci e di badare alla nostra “messa in sicurezza”. Quest’anno, a causa del virus che ha sconvolto le nostre abitudini, si è capito ancora di più quanto è importante fosse la parola collaborazione nonché quella consapevolezza dell’agire con criterio all’interno di un sistema partecipato. In coerenza con una visione d’insieme sempre più ricercata in qualunque settore, a maggior ragione quando si tratta di notizie da raccogliere e analizzare, ci si è resi conto che ogni tassello, indicatore o semplicemente segnale debole o forte che sia, non può essere visto singolarmente, ma integrato ad altri se si vuole essere resilienti nei confronti delle nuove minacce. Sensibilizzare anche il cittadino di questa cosa è fondamentale, poiché la sicurezza non si innesta solo dall’alto attraverso obblighi e divieti ma si deve muovere anche dal lato opposto, dal basso, attraverso la diffusione di una “awareness” non solo del singolo individuo ma della stessa comunità. Difatti, se solo ci si dovesse mettere nei panni di qualunque cittadino, è altresì utile specificare proprio il concetto di “consapevolezza partecipata” ossia quella capacità non solo di sentirsi partecipi di un sistema, ma di farlo attivamente mediante la forza dello sguardo, dell’esempio e della riflessione critica.

Lo stesso Michel Foucault ci descrive all’interno del suo meccanismo di sicurezza questo concetto: “L’emergere della nozione di popolazione risulta decisiva rispetto alle finalità di questa analisi. Essa è, infatti, uno strumento attraverso cui poter pensare gli esseri umani nella loro dimensione aggregata, a partire dagli elementi biologici che li costituiscono. La dimensione aggregata può essere valutata con dei nuovi strumenti e il rapporto con essa non sarà orientato al comando bensì maggiormente alla gestione che non avviene attraverso divieti e obblighi, ma governando i fenomeni a partire da un sapere che si rifà alla natura stessa dei fenomeni” (1).

Nonostante ancora non si percepisca benissimo, la minaccia anche se non pienamente tangibile è sempre dietro l’angolo, anche dal punto di vista del mondo digitale: servono perciò nuovi approcci volti a definire percezioni, pensieri e consapevolezze diverse. Lo stesso Daniel Kahneman, psicologo israeliano ed esperto di bias cognitivi, ha più volte espresso quel tipo di sistema mentale che si crede possa essere davvero utile a migliorare il potere dell’osservazione critica; ovvero quel sistema di “tipo due” (riflessivo) appartenente al sé conscio, raziocinante, capace di far comprendere realmente quello che è il valore delle proprie azioni e scelte all’interno di un contesto specifico. Secondo l’autore del libro “Pensieri lenti e veloci” infatti, per quanto l’uomo possa definirsi razionale, in realtà è soggetto ad una serie di impulsi, impressioni e automatismi, che lo inducono ad usare, per la gran parte delle volte, un tipo di sistema diverso definito “uno” (automatico). Per questo motivo, egli esorta l’uomo a prestare più attenzione alle situazioni e alle proprie scelte decisionali. Come egli stesso dice “le operazioni assai disparate del sistema due hanno una caratteristica in comune: richiedono attenzione e sono annullate quando questa viene distolta. Ecco alcuni esempi:

  • Prepararsi al colpo di pistola dello starter in una corsa;
  • Concentrarsi sulla voce di una particolare persona in una stanza affollata e rumorosa;
  • Cercare una donna con i capelli bianchi;
  • Frugare nella memoria per identificare un suono molto strano;
  • Controllare la validità di una complessa argomentazione logica” (2).
In poche parole, il sistema due, se compreso e allenato, ha la capacità di modificare quello che è il funzionamento del sistema uno, attraverso un indirizzamento delle principali funzioni, di norma automatiche, verso quelli che sono i campi dell’attenzione e della memoria. In direzione di quella che è l’osservazione attiva, attenta ed efficace, vi è la necessità quindi di rendere lo stesso cittadino protagonista della vita della città, parte integrante di un progetto, attraverso specifiche attività formative.         

Stesso discorso dovrebbe riguardare il mondo specifico della security in quanto ancora oggi si fatica ad abbracciare diverse discipline, approcci e modi di pensare alternativi. Per quanto ci possa essere una forte struttura di intelligence statale fondata sulla necessità di recepire segnali o campanelli di allarme provenienti da minacce interne e esterne al nostro paese, ad oggi non si può dire che nelle giuste proporzioni non ci sia la stessa necessità di captare dei segnali anche deboli da parte del comune operatore di security che si occupa di antitaccheggio o controllo dei varchi, dalle forze di polizia a livello preventivo (non per niente la novità introdotta nel sistema di governance della sicurezza è la necessità di individuare punti c.d. deboli e porre rimedio (3), per non parlare anche dei nuovi emergenti security manager all’interno del tessuto aziendale. Come la storia ci insegna, con i principali attacchi terroristici che hanno segnato l’Europa pochi anni fa, non è possibile scindere la sicurezza in settori come se fossero dei compartimenti stagni: ogni tassello deve essere organico all’altro se si vuole essere efficaci in termini di prevenzione, contrasto e mitigamento alla minaccia. Molte volte, soprattutto nel mondo della sicurezza, la seconda possibilità non esiste: l’agire in tempo è l’unica cosa che conta sia che si tratti di prevenzione che di mitigamento dell’evento pericoloso già accaduto. In relazione a ciò, quelli che per esempio sono i metodi scientifici di Paul Ekman, di analisi e decodifica degli aspetti emotivi e comportamentali dell’essere umano, possono davvero essere utili all’operatore per intraprendere delle scelte tattiche e operative efficaci per quella determinata situazione. I vantaggi in questi termini potrebbero essere notevoli, se ne elencano alcuni:

  • Comprendere i propri stati d’animo e quelli altrui, all’interno di contesti critici;
  • Saper comunicare efficacemente per poter ottenere più informazioni possibili nel minor tempo;
  • Valutare l’affidabilità delle notizie ricevute dall’interlocutore;
  • Comprendere la situazione circostante in base alla ricerca delle dissonanze ambientali;
  • Prevenire la probabilità che possa verificarsi un incidente;
Gestire il contesto circostante, persone incluse, nel miglior modo possibile.
Lo stesso Angelo Tofalo, attualmente sottosegretario di Stato alla difesa, ha più volte espresso il concetto di “sicurezza partecipata” ossia la necessità di creare una “joint venture tra cittadini, imprese e Stato, capace di migliorare il grado di resilienza del Sistema Paese” (4).

In questo senso, lo scopo di una reale collaborazione di questo tipo non può che migliorare di gran lunga il concetto stesso di controllo che può essere sintetizzato attraverso il Panopticon di Bentham “che da solida e materica architettura carceraria, si traduce nella metafora di edificazione di un’arte di governo inclusiva di un controllo diffuso, in cui il sorvegliato, pur sapendo di essere sottoposto a perenne osservazione, non è nella condizione di vedere a sua volta il controllore; una sorta di Big Brother ante litteram, che produce nell’individuo uno impulso etico all’auto-controllo, quando la consapevolezza della visibilità determina il funzionamento automatico del potere” (5).  

In termini più generici quello che ancora si fatica a capire è proprio il concetto di percezione o ancora meglio di sensibilità a quella che può essere un’anomalia. La verità è che il rischio ormai è parte integrante della nostra esistenza e per quanto ci siano studi e check list da seguire per governarlo ciò non può prescindere da una componente più umana che, soprattutto nei momenti più irrazionali, solo la consapevolezza e il duro traning possono guidare. Difatti, se solo a posteriori si ripercorressero alcune delle più grandi tragedie avvenute, ci si accorgerebbe che spesso sono frutto di errori percettivi, bias o semplicemente valutazioni ingenue che potevano essere evitate attraverso una vera e propria cultura Humint e di profiling. Nonostante in Italia, la figura stessa del profiler non venga del tutto valorizzata, ciò che si nasconde dietro il concetto di profilazione è innanzitutto un metodo, un punto di vista alternativo, che può essere davvero utile al mondo della security soprattutto se si comprende l’importanza dell’osservazione mirata: dal particolare al generale. Basato sul concetto di analisi comportamentale, un esperto di profiling, conosce bene le difficoltà di comprendere davvero le intenzioni dell’avversario, ma si affida a tutta una serie di osservazioni che possono aiutarlo a comprendere meglio un soggetto potenzialmente pericoloso. Il corpo umano è la sintesi finale di una serie di processi che, se compresi e studiati bene, e soprattutto contestualizzati nella situazione possono aiutare a comprendere determinate condizioni di pericolo. Non si tratta solo di valutare gli aspetti verbali, non verbali e paraverbali, ma di affinare una sensibilità tale per cui è possibile immedesimarsi in un soggetto, in una situazione, per comprendere se sono davvero presenti degli indicatori di anomalia. Pertanto, nel caso si prendesse in oggetto un comune cittadino, non si tratterebbe di utilizzare strumenti e approcci tecnici tipici dell’operatore di security; ma è importante valutare e riconoscere il valore della “dissonanza ambientale”: qualunque elemento, persona o evento che produca nel complesso della situazione un effetto discordante. Un esempio può essere riscontrato nell’attentato avvenuto all’aeroporto di Bruxelles: due dei tre attentatori possedevano un solo guanto probabilmente per nascondere i detonatori delle bombe che avevano preparato nei giorni precedenti. Con una attenzione e sensibilità di questo tipo, si potrebbe comprendere più facilmente una e-mail di phishing, una fake news, se non una possibile pericolosa aggregazione sociale nei termini del contagio del coronavirus. Anche in quest’ultimo caso, come da tempo si sta dicendo, la partecipazione di tutti è fondamentale.     

Perciò, oltre che valorizzare la professione e la visione di chi a impiegato anni a specializzarsi in questo settore di tipo comportamentale, tanto quanto nella criminologia o nell’antropologia culturale, andrebbe diffuso un sapere condiviso che sia utile al cittadino e a chiunque altro, nel momento in cui dovesse trovarsi in una situazione potenzialmente pericolosa. Non si richiede di intervenire, ma di avvisare le forze preposte a tale compito. La pandemia ha ancora di più messo in discussione i vecchi modelli e paradigmi di gestione dei possibili incidenti, ha alzato ancora di più l’asticella del concetto di messa in sicurezza, per questo motivo bisognerebbe costruire una struttura sempre più interdisciplinare e resiliente per i giorni che verranno. In questo senso il mondo della security, oggi più che mai, deve essere in grado di far uso di strumenti e conoscenze aggiornate e pertinenti, al fine di effettuare predizioni in relazione al comportamento del singolo individuo nonché a quello delle masse intese come micro e macro-gruppi. Più nello specifico, andrebbero diffusi e approfonditi nuovi studi e punti di vista riguardo i bias fisiologici e psicologici, le psyops, le analisi comportamentali, l’antropologia, le neuroscienze applicate alla sicurezza. A tal proposito, recentissimi sono gli studi sulla riproduzione artificiale delle stesse frequenze cerebrali emesse dal cervello umano per gestire le intenzioni, e di conseguenza i comportamenti, dei soggetti definiti pericolosi. Partendo dal presupposto che nelle emissioni elettromagnetiche del cervello sono contenuti dei picchi e modelli chiamati “potenziali evocativi”, si sta studiando come replicarli, in un range di frequenze ben definito, per generare dei pensieri, delle reazioni, degli eventi visivi, uditivi e comportamentali nell’essere umano. Per quanto possa far paura questa cosa e la si possa considerare fantascienza, a livello concettuale bisogna ragionare con nuovi termini e mezzi che non possono non prendere come oggetto l’uomo e i suoi comportamenti. Anche da un punto di vista più tecnico come la Cyber-security: c’è sempre la persona e la sua linea di pensiero, tranne in alcuni casi particolari, dietro un attacco. Difatti, tra le caratteristiche individuali che spesso si ricerca in questi casi è proprio l’aspetto motivazionale che spinge un hacker ad agire ovvero, secondo la recente letteratura, la sua attrazione compulsiva all’hacking, la curiosità di tipo intellettuale, un forte senso di controllo/potere e, non meno importante, la soddisfazione e la gratificazione di stare all’interno di un gruppo di pari (Jordan e Taylor).

Per spiegare questo concetto di azione/pressione dell’essere umano, nel momento in cui vuole intraprendere qualsiasi tipo di scelta positiva o negativa che sia, utile può essere la teoria del “flusso di coscienza” di Csikszentmihalyi: “il flow viene definito come uno stato nel quale i processi cognitivi, motivazionali e affettivi interagiscono e funzionano in modo integrato, sia rispetto alle richieste del mondo interno, sia rispetto alle sfide poste dall’ambiente esterno. Gli elementi che caratterizzano il flow sono la chiarezza degli scopi da perseguire, l’equilibrio tra richieste ambientali e abilità messe in gioco dal soggetto, il feedback immediato rispetto alle proprie azioni, il controllo sulla situazione senza bisogno di automonitoraggio, l’alterazione della percezione temporale. Dopo un’esperienza flow, l’individuo evolve verso un aumento della propria complessità psichica e, di conseguenza, eleva il livello delle sfide da lui ricercate. La scelta di più alte sfide conduce infatti a un aumento delle abilità. Dopo un periodo di apprendimento si ripresenta il matching preciso tra sfide ambientali e abilità individuali e, di conseguenza, il soggetto torna a esperire lo stato di flow” (6).           

In poche parole, ciò che si nasconde dietro un attacco è un misto di obiettivi, stati d’animo, vissuti, sfide, esigenze, stimoli esterni che ruotano attorno all’essere umano e le sue sfaccettature. Per questo bisogna avvalorare tutti quegli studi che ruotano attorno a questo concetto.  

In direzione di quello che è il ragionamento finora fatto, si può ipotizzare che un qualsiasi operatore di security, specificatamente istruito sui temi dell’analisi comportamentale e sul body Language, sarà in grado di percepire ad esempio il grado di pericolosità di un soggetto, se non la sua attitudine all’aggressione; tutto ciò al fine di predisporre un’efficace riposta di contenimento e gestione della sicurezza. Inoltre, sempre nei termini della previsione della minaccia, possono rientrare ovviamente figure diverse, si pensi a tutti coloro che svolgono anche professioni o attività in altri ambiti ma a stretto contatto con il pubblico.                                

Infine, allo studio del profiling non può mancare una giusta dose di cultura Humint per la quale è possibile essere recettivi verso il mondo che ci circonda. Individuare degli indicatori di rischio, o una semplice dissonanza in un ambiente di qualunque tipo, può davvero essere un’arma in più rispetto alla semplice reazione post incidente. “Una migliore e più diffusa conoscenza della Humint e delle sue tecniche è funzionale non solo alla crescita della cultura dell’intelligence nel nostro Paese, ma anche al rafforzamento delle difese dell’Italia nei confronti di operazioni ostili di spionaggio e ingerenza condotte da servizi segreti stranieri, molti dei quali mirano a reclutare informatori e agenti di influenza inseriti in settori strategici del sistema-paese quali il mondo politico, gli apparati statali civili e militari, le industrie strategiche, le banche, gli istituti di ricerca scientifica, il sistema mediatico” (7).

Anche le aziende dovrebbero sviluppare una propria Humint, limitata ai propri obiettivi, come mezzo utile alla sicurezza aziendale e al business intelligence. La discrezione, l’osservazione critica, la sensibilità al pericolo nonché alcune tecniche, appartenenti al mondo humint, nelle giuste proporzioni, potrebbero essere utilizzate dagli operatori della security nel momento in cui operano sul campo. Con questo non si vuole dire assolutamente che i ruoli sono gli stessi: è utile specificare che le due figure sono nette e distinte in termini di obiettivi, mezzi e formazione. Ciò che si vuole premere in questo articolo è invece la necessità di diffondere una nuova consapevolezza che ruoti attorno al comportamento umano e al suo studio.  

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Note:

  1. Silvio De Martino, “I percorsi teorici della governamentalità” dottorato di ricerca in sociologia, analisi sociale, politiche pubbliche, Università di Salerno.
  2. Daniel Kahneman, “Pensieri lenti e veloci”, Mondadori, 2012.
  3. Carmelo Nicola Alioto, “Pubbliche manifestazioni tra safety e security”, Polizia di Stato, gennaio 2020.
  4. Angelo Tofalo, “Intelligence collettiva:il concetto di sicurezza partecipata”, agosto 2017.
  5. Dalia Galeotti, “Governamentalità: per una critica del potere al tempo del liberismo”, Università di Pisa.
  6. Raul Chiesa e Silvio Ciappi, “Profilo Hacker”, Apogeo, 2007.
  7. Luigi Sergio Germani, “Intelligence, perché l’uomo conta molto anche nell’era cyber”, Formiche, 2018.
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Bibliografia:

Angelo Tofalo, “Intelligence collettiva:il concetto di sicurezza partecipata”, agosto 2017.

Christopher Hadnagy, “Human Hacking”, Apogeo, 2019.

Dalia Galeotti, “Governamentalità: per una critica del potere al tempo del liberismo”, Università di Pisa.

Daniel Kahneman, “Pensieri lenti e veloci”, Mondadori, 2012.   

Frank Stopa, “The human Skill: elicitation & interviewing”, e-book, 2010.

Luigi Sergio Germani, “Intelligence, perché l’uomo conta molto anche nell’era cyber”, Formiche, 2018

Raul Chiesa e Silvio Ciappi, “Profilo Hacker”, Apogeo, 2007.

Silvio De Martino, “I percorsi teorici della governa mentalità”, dottorato di ricerca in sociologia, analisi sociale, politiche pubbliche, Università di Salerno.

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*Angelo Alabiso Criminologo AICIS

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